lunedì 9 maggio 2011

La strada verso l'illuminazione parte da: La saggezza dell'innocenza

di Fabio Attura


Nella mia Comune Buddha riderà e danzerà, Cristo riderà e danzerà. Poveretti, nessuno ha permesso loro di farlo, finora! Abbiate compassione di loro, lasciateli danzare, cantare e suonare. La mia Comune trasformerà il lavoro in gioco, trasformerà la vita in amore e risate.


Con questa frase l'indiano Rajneesh, più conosciuto sotto il nome di Osho, ha spiegato a un suo discepolo la sua visione della “Nuova Comune”, definita da lui stesso come un "esperimento di comunismo spirituale", raggiungibile soltanto attraverso la meditazione, tema del libro La saggezza dell'innocenza.

"Osho, mai nato e mai morto, ha solo visitato il pianeta dal dicembre 1931 al gennaio 1990"; con questa definizione l'autore eliminò la necessità di stendere una sua autobiografia, ma che da me vi sarà comunque proposta, poichè emblema del suo percorso intellettuale, che si tramutò in spirituale.

Laureato in filosofia nel 1956, Osho proseguì la sua carriera universitaria come professore al Sanskrit College di Rajpur prima, e come docente di Filosofia, presso l'università di Jabalpur in India; ma solo agli inizi degli anni '60 si sentì pronto per intraprendere un lavoro diverso: un lavoro volto ad aiutare gli altri uomini a condividere la sua stessa esperienza della pace interiore, meglio conosciuta come illuminazione, da lui raggiunta, precisamente il 21 marzo 1953, e così raccontataci:

L'istante in cui la goccia si fonde nell'oceano, nell'attimo stesso in cui l'oceano si riversa nella goccia.

Da questo momento in poi, tenterà di insegnare ciò che non potrà mai essere insegnato. Comincia nel 1964 ad organizzare campi di meditazione che aiutassero a cogliere quel "silenzio oltre i silenzi", in cui la natura si manifesta nell'esplosione di un'esperienza indubitabile.

Nel 1966 abbandona totalmente la carriera universitaria e si stabilisce a Bombay, dando vita ad un Ashram, o comunità spirituale, che verrà trasferita a Pune, città nella quale è ambientato l'intero racconto, il 21 marzo 1974, in occasione del ventunesimo anniversario dalla sua illuminazione.

Il suo insegnamento, tutt'ora trasmesso dai neo Sannyasi della tradizione induista, è il culmine e lo stadio finale dell'esistenza, raggiunto il quale, occorre rinunciare ai beni materiali per dedicarsi interamente al proprio cammino spirituale.

Ne La saggezza dell'innocenza, Osho affronta un dialogo con i suoi discepoli, giunti da tutto il mondo a Pune, proprio per intraprendere il loro cammino spirituale, sotto la guida del maestro.

Varie sono le domande proposte dai suoi seguaci: sull'anima, l'amore, la fede... damande a cui può rispondere solo l'esperienza e la meditazione del Maestro.

Amato maestro, potresti dire qualcosa sulla famosa frase di Nietzsche: Dio è morto?

Alla domanda che tutti gli uomini si pongono, seppure in termini diversi, Osho risponderà con una semplicità disarmante, a cui solo la lucidità dell'intelletto può portare, una chiarezza che percorre l'intero testo e che può donarci almeno pochi istanti di illuminazione:

Nietzsche afferma che Dio è morto, questo significa che prima era vivo. Per quanto ne so io, non è mai stato vivo. Come può Dio essere morto se non è mai stato vivo? Dio non è una persona, perciò non può essere vivo, né morto. Per me Dio è la vita stessa! Dio è sinonimo di esistenza, di conseguenza non puoi dire che sia vivo o che sia morto. Dio è vita! E la vita è da sempre, per sempre... non ha interruzione, è eterna, non ha principio né fine.